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La dichiarazione (la finestra e il balcone)

La dichiarazione
(la finestra e il balcone)

commedia drammatica in due atti 
di 
Paolo Cappelloni

codice SIAE: 952260A




Sinossi

Due giornate di una famiglia piccolo-borghese del 1940. Il primo atto si svolge il 19 maggio 1940. 
Vasinto, il capofamiglia, è un fascista convinto e fanatico di Benito Mussolini, tanto che, essendo orologiaio, ha intenzione di fabbricare un orologio che vorrebbe regalargli.
Ada, sua moglie, è una madre apprensiva ma in questo frangente ha parecchie ragioni per esserlo:
Romano, suo figlio, deve partire per il militare proprio la vigilia della guerra, Vittoria, sua figlia, ha una relazione con un uomo sposato e Vasinto ne è all'oscuro; teme inoltre che possa essere chiamato alle armi anche il marito.
Romano, innamorato di una ragazza che abita di fronte a casa sua, vorrebbe dichiararsi prima di partire e in qualche modo si fa consigliare dalla sorella, di cui conosce la relazione clandestina (l’uomo sposato è un gerarca amico di Vasinto).
Nel secondo atto (10 Giugno 1940) Vasinto viene a conoscenza della relazione della figlia e dopo aver fatto fuoco e fiamme, appena gli dicono chi è l’uomo, cambia atteggiamento giungendo a giustificare la cosa con evidente disprezzo da parte di sua moglie.
Giuseppe, il nonno, è un trait d’union fra i vari componenti della famiglia e nonostante non condivida affatto le opinioni e gli atteggiamenti del genero (Vasinto) cerca in qualche modo di far mantenere l’armonia.
Giunta la tanto attesa ora della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini, Vasinto va a sentirla dagli altoparlanti della piazza centrale mentre gli altri componenti, ognuno a suo modo, cercano di affrontare i propri problemi o di reagire alle proprie angosce.
Contemporaneamente alla dichiarazione di guerra anche Romano si trova a fare una dichiarazione di tutt’altro genere…


Rappresentata da

Teatro Accademia di Pesaro


La

dichiarazione

(La finestra e il balcone)

 

 Commedia drammatica in due atti

di

Paolo Cappelloni


Personaggi:

Vasinto – il marito

Ada – la moglie

Romano – il figlio (20 anni)

Vittoria – la figlia (21 anni)

Giuseppe - Il nonno

 

  

Primo atto

 Sulle note di “Signora illusione” (Cherubini-Fragna – 1940) si apre il sipario. La scena rappresenta il soggiorno di una casa piccolo-borghese degli anni ‘40. C’è una finestra, due uscite a destra per l’interno della casa – una verso la cucina e una verso le camere – a sinistra una per l’esterno. Sulla parete c’è un calendario giornaliero con la data del 19 maggio 1940. Su di un mobile c’è una radio e un ritratto di Mussolini. La scena è vuota.

 

Ada –                   (Entra dalla cucina con una tazzina di caffè in mano. La musica lentamente sfuma e Ada chiama ad alta voce) Romano! Romano! Il caffettino!

Vittoria -              (Entra dalla cucina con una tazzina di caffè in mano e lo porge alla madre) Questo è il tuo, ma’.

Ada -                   Grazie. Vai a prenderlo anche te e quello che rimane tienilo in caldo per tuo padre che fra poco ritorna. (Beve il caffè)

Vittoria -              (Si avvicina alla finestra con fare distratto, scosta la tendina e guarda fuori) Dov’è andato?

Ada -                   (Osservandola con disapprovazione) Dove vuoi che sia andato? È domenica! È andato a comprare la “Domenica del Corriere”! (Le cade l’occhio sul ritratto di Mussolini e va a metterlo con la faccia verso il muro) Perché non gli basta mica quel che legge e sente tutti i giorni sulle boiate che fa l’amico suo!

Vittoria -              E per il nonno…?

Ada -                   Il nonno è un pezzo che ha preso il suo goccio d’orzo ed è andato a camminare al mare! (Ad alta voce) Romano! Il caffè! (Guarda Vittoria) Guarda lì che capelli secchi e stopposi che hai! (Allusiva) Non hai più un minimo d’amor proprio.

Vittoria -              Lascia perdere, ma’.

Ada -                   (Tristemente allusiva) Eh, lascio perdere, lascio perdere… (Torna al discorso dei capelli) Comunque, stasera ti preparo un impacco con un rosso d’uovo e un cucchiaino d’olio, vedrai come ti tornano belli e luminosi! (Ad alta voce) Romano! Il caffè! A dir la verità si dovrebbe mettere anche un cucchiaino di miele ma dove lo vado a prendere?

Vittoria -              Non ti preoccupare, ma’, per ora vado a prendere il caffè. (Esce verso la cucina)

Ada -                   (Tra sé) Il caffè dilata i bronchi, non c’entra niente con i capelli!

Romano -            (Entra dalle camere, zoppicando, passa davanti alla finestra per dare una fuggevole occhiata all’esterno spostando appena la tendina, poi va a sedersi per bere il caffè)

Vittoria -              (Rientra col suo caffè, prende una rivista femminile da un mobile e si mette in un angolo a sfogliarla)

Ada -                   (Materna e compassionevole) Ti duole ancora la caviglia, poverino?

Romano -            (Dolorante) Un po’, solo quando appoggio il calcagno.

Vittoria -              (Sfogliando la rivista e sorridendo) Allora salta con l’altra gamba!

Ada -                   (Con tono di rimprovero) Vittoria…! (A Romano, c.s.) Dopo la mamma ti fa un bel massaggio con l’aceto caldo e vedrai come si sgonfia e ti passa il dolore!

Vittoria -              (Benevolmente ironica) L’uovo per i capelli e l’aceto per le caviglie…

Ada -                   Certo! perché i rimedi antichi sono sempre i migliori! (Facendo capire che ciò che sta dicendo è rivolto a Vittoria) Rimedi antichi… e buonsenso! (Torna a coccolare Romano) Perché te, Romano, non sei fatto per certe cose! Per andare a fare le esercitazioni ginniche! Te sei un ragazzo sensibile, ti piace studiare! Sei fatto per leggere, per scrivere, non per le cose materiali! Infatti, ogni sabato mi torni con una magagna!! O un graffio, o una botta, o un ginocchio sbucciato…!

Romano -            Vallo a dire al babbo, è lui che è fissato col sabato fascista! Perché se fosse per me…

Ada -                   (Accarezzandolo amorevolmente) Lo so, lo so, e siccome te non sei come tuo padre devi cercare d’aver pazienza!

Romano -            Comunque vedrai che tra neanche un mese… altroché il sabato! Sotto le armi ci sarà da scarpinare tutt i giorni!

Ada -                   (Con un subitaneo moto ansioso) Madonna mia, Romano! Non voglio nemmeno pensarci che fra poco dovrai andare sotto le armi! Proprio di questi tempi! Lontano da casa…

Vittoria -              (Alza gli occhi dalla rivista e minimizza per tranquillizzarla) Beh, lo mandano a Bologna, mica a Timbuctu!

Ada -                   (Seriamente preoccupata) Ah! Mi dici niente! A Bologna! Da quelle parti dicono che c’è un gran brutto clima! Me lo diceva sempre la Giulia che ha abitato per due anni proprio vicino alla Torre dei Somarelli!

Romano -            (La corregge) Degli Asinelli, ma’.

Ada -                   È la stessa cosa; ad ogni modo mi diceva che là fa sempre un gran freddo!

Romano -            Ma ci andrò a giugno!

Vittoria -              (Sempre sfogliando la rivista) Ci andrà a giugno!

Ada -                   Non fa niente, mi raccomando lo stesso, Romano: vedi di stare attento, là sotto!

Romano -            (Ironico) Sotto la Torre?

Ada -                   Sotto le armi! Sei anche delicato di salute! Ti ricordi, Romano, che tosse hai avuto quest’inverno?

Romano -            Sì, sì, sta’ tranquilla, ma’.

Ada -                   (Andando verso la cucina con le tazzine vuote) Io invece non sto tranquilla per niente, guarda un po’! Anzi, mi vengono certi presentimenti che non mi fan dormire la notte! (Esce)

Romano -            (Torna a spostare la tendina della finestra, mentre Vittoria è intenta alla lettura della rivista; si accorge della presenza di qualcuno nella casa di fronte, apre la finestra e si mette in ammirazione fino ad abbozzare un sorriso. Poi richiude, deluso) Ecco: appena cambio l’espressione della faccia richiude la finestra! Ma perché farà così? non le faccio mica le smorfie!

Vittoria -              (Alza gli occhi dalla rivista ridacchiando) Stai parlando della Salvia?

Romano -            (Piccato) Sì. (Vittoria ridacchia ancora) Eh, ridi, ridi, che mama ha fatto i gnocchi!

Vittoria -              (C.s.) Scusa ma ogni volta che ci penso mi fa ridere! Come si fa a chiamare Salvia una cristiana?

Romano -            Ho saputo ch’è successo per sbaglio: i suoi genitori volevano chiamarla Silvia ma l’impiegato del Comune, quell’imbecille, ha sbagliato a scrivere e invece di Silvia ha messo Salvia, così le è rimasto questo nome.

Vittoria -              (Sorridendo chiude la rivista e si avvicina con noncuranza alla finestra, scosta la tendina e dà un’occhiata in strada) Beh, è sempre meglio Salvia che Cicoria!

Romano -            A me piacerebbe in ogni modo!

Vittoria -              Ma sei andato proprio via di testa, per ‘sta ragazza!

Romano -            (Imbarazzato) Eh, parecchio.

Vittoria -              Allora deciditi a dirle qualcosa! Falle capire che hai un interesse per lei!

Romano -            E cosa credi che faccia ogni volta che passo davanti alla finestra? Anche adesso che c’era mi sono affacciato, stavo per farle un sorriso, e lei m’ha richiuso la finestra in faccia!

Vittoria -              Ma ti ha visto?

Romano -            Boh!

Vittoria -              Allora?? Può darsi che avesse da fare! Scusa ma se sei così interessato a lei non le puoi fare la corte in lontananza! Sai cosa può pensare, una ragazza, di uno così?

Romano -            Cosa può pensare?

Vittoria -              Che sei un imbranato!

Romano -            Non potrò mica fermarla per strada!!

Vittoria -              Eh no! cosa ci sarebbe di male?

Romano -            Il fatto è che…

Vittoria -              … che sei un imbranato!

Romano -            No, il fatto è che non sono sicuro se io piaccio a lei!

Vittoria -              Ah! Romano, Romano!... (Lo guarda in silenzio mentre riflette) Stammi a sentire: sai cosa faccio? Siccome in sartoria dove lavoro le cose si sentono dire e le voci circolano…

Romano -            (Allarmato la interrompe) Oh! Non vorrai mica dirlo a tutta la città??

Vittoria -              No, ma cercherò di indagare se qualcuna delle sarte che lavorano con me la conosce e sa se ha detto qualcosa di te, se si è confidata con qualcuno…

Romano -            (Perplesso) E se magari in quella confidenza a qualcuno ha detto che io non le piaccio per niente??

Vittoria -              Eh, pazienza! così ti metterai il cuore in pace!

Romano -            Ah, ma io non potrei sicuro sopportare una cosa così!

Vittoria -              Ma non dire scemenze!

Romano -            Sai quante lettere le ho scritto??

Vittoria -              Ah, allora qualcosa hai combinato! E lei cosa t’ha risposto?

Romano -            Niente! Perché mica le ho spedite! Sono rimaste tutte nel cassetto!

Vittoria -              Oh Signore!! e cosa le hai scritte a fare??

Romano -            (Ritroso) Eh, così… però mi piacerebbe scriverle dei versi.

Vittoria -              Dei versi?

Romano -            Sì! vorrei scriverle una poesia.

Vittoria -              Ah! beh, sarebbe bello! Una poesia! Poi te ci sai anche fare con ‘ste cose. Basta però che lo venga a sapere!

Romano -            (Sognante, gettando un’altra occhiata fuori dalla finestra) Dei versi che le facessero subito capire quanto bene le voglio e quanto lei è importante per me!

Vittoria -              (Si avvicina alla finestra, sempre con fare distratto, scosta la tendina e guarda fuori) Allora quando l’hai scritta fammelo sapere perché voglio leggerla prima io, va bene?

Romano -            (Osservandola di sottecchi e abbandonando l’espressione sognante) Va bene, va bene. (Vittoria si avvia verso la cucina) Dove vai?

Vittoria -              In cucina ad aiutare la mamma. (Esce verso la cucina)

 

Rimasto solo, Romano prende la sedia e la porta vicino alla finestra, vi si siede e, scostando un po’ la tendina, sbircia verso la finestra di Salvia. Mentre è assorto nell’attesa che appaia la ragazza dei suoi sogni entra il padre che lo vede in quella posizione e salutandolo volutamente con voce stentorea lo fa sobbalzare sulla sedia.

 

Vasinto -              (Ha in mano una copia della “Domenica del Corriere”, va a porsi proprio dietro a Romano e grida) Allora? si spia il nemico?

Romano -            (Ha un sobbalzo per lo spavento) Babbo!!... Che salto mi hai fatto fare! ma l’hai fatto apposta??

Vasinto -              Certo! perché un combattente deve stare sempre all’erta! pronto ad affrontare ogni evenienza e ogni pericolo!

Romano -            (Che ancora non si è ripreso dallo spavento) Se non muore prima d’infarto!

Vasinto -              Ma dai! Romano! Ormai hai vent’anni! Sei un uomo! un fascista! fra poco partirai per servire la Patria e ancora fai cucù da dietro le finestre come una donnetta? Fregnone! Se vuoi andare con quella ragazza va’ da lei e falle sentire che uomo ha davanti! Senza fare tante storie! Perbacco! (Grida verso la cucina) Ada! è pronto il caffè? (A Romano, facendolo alzare in piedi) Esci, dai! che oggi è domenica e fuori è pieno di belle ragazze che aspettano solo te! Ah! Porca miseria! avessi io, vent’anni! vedresti che macello…! (Spronandolo) Via! fuori! vai a farti un giro ché non ti voglio veder fare il cascamorto in giro per casa! (Romano esce zoppicando mentre Vasinto, dopo essersi accorto del ritratto di Mussolini volto verso il muro lo rigira, va a sedersi al tavolo, apre il giornale e richiama la moglie ad alta voce) Ada! arriva ‘sto caffè?

Ada -                   (Entra con la tazzina del caffè) Eccolo, eccolo, il tuo caffè, e bevilo tutto, finché ce n’è!

Vasinto -              (Beve il caffè) Cosa vorresti dire? che non si dovrà più bere perché è razionato? ne berremo di meno! o cambieremo bevanda se si dovrà fare un sacrificio per contribuire allo sforzo bellico del Paese!

Ada -                   Allo sforzo…?

Vasinto -              Bellico!

Ada -                   (Allarmata) Come sarebbe a dire, “lo sforzo bellico”? Vasinto! Vuoi dire che ci sarà la guerra per davvero??

Vasinto -              Ah, ci manca poco! anche se Churchill e Roosevelt l’hanno pregato in ginocchio, al Duce, di non entrare in guerra… e sai perché?

Ada -                   (C.s.) Perché avranno un minimo di sale in zucca!

Vasinto -              No! perché tutti e due hanno paura, se entriamo anche noi! hai capito? Ah! t’immagini l’Italia e la Germania insieme?? due potenze così possono arrivare dappertutto!

Ada -                   (C.s.) Mh, me lo immagino. Pensa te: il fascio e la svanzica!

Vasinto -              La svastica, ignorante! (Prende il giornale e legge) Senti qui il giornale: “19 maggio 1940: La grande offensiva tedesca nel Belgio. Mentre nel cielo gli aeroplani avversari si danno battaglia, la cavalleria germanica…

Ada -                   (Specifica per esserne certa) … i tedeschi!

Vasinto -              Sì, i tedeschi! (Legge) “… la cavalleria germanica si getta arditamente oltre il fiume.” … Hai capito? Hitler ha già occupato Bruxelles e dei carri armati germanici sono già penetrati in Francia!

Ada -                   (Spaventata) Madonna santa! Se gli prende il matto davvero, quello è capace di fare una guerra mondiale!

Vasinto -              (Con orgoglio) Ah ah! senti qui…??

Ada -                   (Preoccupata) Io dico ch’è roba da matti! Ma tutto ‘sto sconquasso proprio adesso che Romano deve andare a fare il soldato??

Vasinto -              Ma sarà un onore, per lui, essere un fautore dei destini d’Italia! (Cita Mussolini) “Senza sforzo, senza sacrificio e senza sangue nulla si conquista nella storia”!

Ada -                   (C.s.) Stai parlando come se fosse tutto un gioco! Ma questo non è per niente un gioco e mi dà tanto l’idea che state tutti scherzando col fuoco!

Vasinto -              Ma dai, Ada! Cerca di essere ottimista senza far sempre l’uccello del malaugurio! (Canta sfottendo Ada) “Mamma non piangere se c'è l'avanzata/tuo figlio è forte paura non ha! /asciuga il pianto della fidanzata, /si va all’assalto, si vince o si muor.”

Ada -                   (Tornando in cucina con la tazzina del caffè, frastornata e impaurita) Ma va’ a quel paese, te e l’avanzata! (Entra Giuseppe dalla sua passeggiata)

Vasinto -              (Ad alta voce) Va’ va’ in cucina, è quella la trincea di voialtre donne! (Tra sé) Vedi? Poi per forza non ci prendono seriamente! (Rivolto verso la cucina) Perché siete dei piagnoni! (Torna a sfogliare il giornale)

Giuseppe -           Maggio è il mese più bello di tutti!

Vasinto -              Perché?

Giuseppe -           Come perché? perché è uno spettacolo! c’è un teporino che rincuora, per le strade è tutto un profumo di fiori e d’erba fresca, dove guardi vedi i colori della primavera! Che meraviglia! Sono arrivato fino al porto e ho incontrato Toni.

Vasinto -              E cosa t’ha detto?

Giuseppe -           Che fa schifo.

Vasinto -              Lui è sempre stato un disfattista!

Giuseppe -           Al contrario! Lui vorrebbe tanto che le cose restassero più o meno così: in pace, in salute e sempre con quest’arietta qui; invece, ha paura che presto si vada a finire a carte quarantotto!

Vasinto -              Perché è un uomo di poca fede!

Giuseppe -           Non è vero, lui va in chiesa tutti i giorni!

Vasinto -              Non parlavo di quella fede lì ma di quella “per i nostri gloriosi destini”!

Giuseppe -           Appunto! è per questo che va continuamente ad accendere i ceri in chiesa! Eh, caro Vasinto, non sono più i tempi del Generale Garibaldi! Lui sì che sapeva come fare le rivoluzioni! (Pausa) T’ho mai raccontato, Vasinto, di quella volta che mio padre ha incontrato Garibaldi?

Vasinto -              Giuseppe, da quando sono sposato con vostra figlia me l’avete raccontata due o tre volte all’anno, fate un po’ il conto voi…!

Giuseppe -           Come non detto.

Vasinto -              (Chiude il giornale e prende una scatoletta da dentro un mobile) A proposito: sapete cosa m’è venuto in mente??

Giuseppe -           Sentiamo.

Vasinto -              Ho pensato di fare un regalo speciale per il Duce!

Giuseppe -           Accidenti! proprio a lui! (Ironico) Ma che bella pensata!

Vasinto -              (Estrae dalla scatoletta la cassa di un orologio, senza notare l’ironia di Giuseppe) Eh già! E visto che sono un orologiaio avrei pensato di costruire un orologio speciale solo per lui!

Giuseppe -           (C.s.) Tutto nero!

Vasinto -              No, tutto in acciaio temprato! Ma con una particolarità.

Giuseppe -           (C.s.) Con i numeri romani.

Vasinto -              È naturale! (Estrae il quadrante dalla scatola) Ma oltre alle ore, ai minuti e ai secondi…

Giuseppe -           (C.s.) … dice anche quand’è l’ora di andar via.

Vasinto -              Giuseppe, smettetela!... (Riprende) Vorrei mettere anche una finestrella che segna gli anni dell’era fascista!

Giuseppe -           (C.s.) Ah, per non perdere il conto!

Vasinto -              Sì! partirei da quest’anno: il diciottesimo.

Giuseppe -           Per arrivare fino a quando?

Vasinto -              Ah, ne metterò più che posso! Il trentesimo, il quarantesimo…

Giuseppe -           Ah, ecco, ho capito.

Vasinto -              Poi andrò a consegnarlo personalmente nelle sue mani e gli dirò: Per te, Duce…

Giuseppe -           (C.s. con lo stesso tono usato da Vasinto) … sentirai che ora è…!

Vasinto -              (Continua)… quest’orologio ti seguirà ovunque per ricordarti la grandezza e la longevità dell’Impero!

Giuseppe -           (C.s.) Senti lì…!

Vasinto -              E gli darò anche un nome!

Giuseppe -           A chi?

Vasinto -              All’orologio!

Giuseppe -           E che nome gli daresti?

Vasinto -              Non ci ho ancora pensato.

Giuseppe -           (Mettendosi a sfogliare il giornale di Vasinto) Te, signor Vasinto orologiaio, mi sa che hai qualche rotella sbrindellata!

Vasinto -              (Inizia ad analizzare le varie parti dell’orologio, sospirando) Eeeh! Non c’è niente da fare! Sono circondato dai disfattisti! dai disfattisti, sono circondato!

Vittoria -              (Entra) Chi sarebbero i disfattisti?

Vasinto -              Tutti quanti! compresa te che ormai hai 21 anni e bella come sei non hai trovato ancora da sposarti! Quanto dovrò aspettare ancora per vedere dei nipoti? Eh? Cosa aspetti, la carrozza?

Vittoria -              Babbo, se ancora non mi sono sposata vuol dire che non ho trovato quello che fa per me!

Vasinto -              Ecco, ha parlato la principessa del pisello!

Vittoria -              (Evasiva) Comunque non ti preoccupare che prima o poi mi sistemerò anch’io.

Giuseppe -           Lascia perdere, Vasinto; vedrai che troverà anche lei uno straccio di marito!

Vasinto -              (A Vittoria) Quando sei nata te io avevo già l’età tua di adesso, lo sai? Appena tornato dalla Grande Guerra ho messo al mondo te e Romano!

Vittoria -              Sarà stata la mamma che ci ha messo al mondo!

Vasinto -              Ricordati, Vittoria: (Sentenzia) È la terra che dà i frutti ma è l’aratro… che gli dà una sconquassata!

Giuseppe -           Il detto non è proprio così.

Vasinto -              Però lei ha capito cosa voglio dire!

Vittoria -              (Indicando la scatoletta) Cos’hai lì dentro?

Giuseppe -           (A Vittoria, sottovoce) No! Non chiederglielo, per carità!

Vasinto -              Cose che non ti interessano!... Comunque, se proprio vuoi saperlo, qui c’è un lavoro che voglio fare per il Duce.

Vittoria -              (Incredula) Per chi??

Giuseppe -           Ecco, era meglio se stavi zitta.

Vasinto -              Hai capito bene, voglio regalargli un orologio speciale, solo per lui!

Vittoria -              Perché, il suo s’è rotto?

Vasinto -              Ma che discorsi fai? t’ho detto che questo è speciale perché ci metterò una finestrella che segnerà gli anni dell’era fascista! Ad ogni primo di gennaio… tach! scatterà il meccanismo che cambierà l’anno!

Vittoria -              (Torna alla finestra con noncuranza, scosta la tendina e guarda in strada) Millenovecento e quarantuno… Millenovecento…

Vasinto -              No! il diciannovesimo, il ventesimo… e così via!

Vittoria -              (Uscendo verso la cucina) Beh, mi pare una buona idea.

Vasinto -              (Prende la scatoletta con i pezzi dentro e la segue) Certo che è una buona idea! La difficoltà è che devo regolare la rotellina degli anni con la lancetta delle ore! (Incrocia Ada che entra con la bacinella contenente l’aceto per la caviglia di Romano) Dove vai con quella catinella?

Ada -                   (Con astio) Dove mi pare. (Vasinto esce con la scatola in mano. Ada chiama Romano credendo che sia ancora in casa) Romano! Romano! Vieni qui che devi mettere a bagno la caviglia nell’aceto caldo! Romano!

Giuseppe -           Tuo figlio è uscito, l’ho incontrato in fondo al Corso mentre tornavo a casa.

Ada -                   Ma dove andava?? non può nemmeno appoggiare il piede in terra, poveretto! Fammelo tenere in caldo per quando torna. (Esce un momento per appoggiare la bacinella)

Giuseppe -           (Ad alta voce) Era appoggiato a una colonna della Pescheria!

Ada -                   (Rientra ragionando tra sé) L’aceto caldo gli farà bene di sicuro. (Si accorge che Giuseppe la sta osservando) Cosa c’è?

Giuseppe -           Te, figlia mia, hai qualcosa che non va, è vero?

Ada -                   (Mentendo) No, babbo, non c’è niente che non va.

Giuseppe -           Eeeh! non raccontare storie a tuo padre. Te fai ancora come quando eri piccola: ti veniva da piangere per qualcosa e cercavi di nasconderlo, ma io lo capivo dal tuo labbruccio tremolante, e anche adesso vedo che hai un pensiero che ti rode dentro. Cos’è che ti preoccupa, eh?

Ada -                   (Riluttante, mentre gira il ritratto di Mussolini verso la parete) Tutto, babbo, tutto. A cominciare da Romano che deve andare a fare il soldato proprio adesso che si sente puzza di guerra!

Giuseppe -           Speriamo di no, Ada, perché noi la conosciamo bene, la guerra, vero? Io ho dato anche il mio contributo, nel quindici, e ho visto il Piave rosso del sangue dei miei compagni, non ti dico…! Senza parlare del figlio che ho perso; perciò, so bene a cosa si va incontro; ma quella, almeno, era una guerra necessaria! Questa invece sarebbe solamente una gran prepotenza!

Ada -                   No, babbo, non è vero; quando qualcuno vuol fare la guerra dice sempre che è necessaria, che la si fa per la pace, ma la gente muore, le cose non si risolvono e alla fine resta tutto come prima: chi ha mangia…

Giuseppe -           (Conclude)… e chi non ha sta senza. Hai ragione anche te, ma questo succede perché c’è gente come lui… e come tuo marito!

Ada -                   Eh, si credono tutti quanti dei grand’uomini, si credono onnipotenti invece sono solo dei pupazzi che si comportano come ragazzini.

Giuseppe -           A proposito, sai cosa è venuto in mente di fare, adesso, a tuo marito?

Ada -                   Parlate dell’orologio per il Duce?

Giuseppe -           Già.

Ada -                   Lo so, lo so, mi sta facendo una solfa…! Come gli sarà venuta in mente una cosa del genere? Insomma, tra lui e il suo orologio, tra Romano che deve partire (Evasiva) e Vittoria… lasciamo perdere va,’ perché qui è tutto un pensiero.

Giuseppe -           Su, su, vedrai che alla fine si sistemerà anche lei, vedrai.

Ada -                   (Tra sé) Sì, sì, me lo immagino.

Giuseppe -           Eh, cara Ada, il mondo è cambiato!

Ada -                   Io invece non ci credo, finché ci sono dei cervelli come quelli che vedo in giro...

Giuseppe -           (Volendo cambiare e alleggerire il discorso) Ti ho mai raccontato, Ada, di quella volta che tuo nonno ha incontrato Garibaldi?

Ada -                   Eh, me l’avrete raccontato centinaia di volte, ormai mi sembra che ci fossi anch’io, quando è successo!

Giuseppe -           Ma va’! non è possibile perché io, nel quarantanove, non ero nemmeno nato!

Ada -                   Facevo per dire, babbo!

Giuseppe -           Ah, (Insiste) comunque delle volte possono venir fuori dei particolari che mi sono sfuggiti…

Ada -                   No, no, sono sicura che m’avete raccontato anche tutti i particolari.

Giuseppe -           Come non detto. (Vittoria rientra e sta per attraversare la scena) Vittoria!

Vittoria -              (Fermandosi) Ditemi, nonno.

Giuseppe -           A te ho mai raccontato di quella volta che il tuo bisnonno ha incontrato Garibaldi?

Vittoria -              Mi sembra di sì.

Giuseppe -           (Coglie la palla al balzo) Ah, ma non sei sicura!

Ada -                   (Uscendo verso la cucina) Oh Signore!

Giuseppe -           Allora siediti qui e stammi bene a sentire: devi sapere che quando mio padre, il tuo bisnonno, era ancora un ragazzino di undici anni, era andato a Mercatello per stare un po’ con la zia Martina e proprio in quei giorni è passato da quelle parti proprio lui: il Generale Giuseppe Garibaldi che stava andando verso il monte Carpegna insieme a sua moglie Anita. Quando l’ha visto passare, sopra il suo bel cavallo bianco, in mezzo a un sacco di gente, piccolo com’era s’è intrufolato, si è fatto largo a spintoni e gli è andato il più vicino possibile per guardarlo meglio, allora lui l’ha visto, si è fermato e gli ha chiesto: “Come ti chiami?” E lui subito: “Mi chiamo Giuseppe!” “Ah” – fa lui – “abbiamo lo stesso nome!” Senti lì…? Poi gli ha guardato il ginocchio che avevo tutto sbucciato e ha detto: “Vedo che ti sei ferito ad una gamba.” “Sì” – gli ha detto lui – “Sono caduto tutto lungo sul ghiaino” Allora lui ha detto: “Sai che anch’io mi sono ferito ad una gamba? Ma con una schioppettata! Sei stato più fortunato te, col ghiaino!” Poi gli ha messo una mano sulla testa e via ch’è andato insieme agli altri garibaldini! Ecco perché quando sono nato io, mio padre mi ha dato lo stesso nome suo: Giuseppe! E da quella volta, Vittoria, anche io gli sono stato sempre fedele, a lui e alla sua camicia rossa!

Vittoria -              (Si alza ed esce verso la cucina) Bello… è sicuramente una storia da raccontare!

Giuseppe -           (Ad alta voce) Eh no? e quando la vuoi risentire chiedi pure! (Romano rientra in casa sempre zoppicando e va a sedersi, allungando la gamba) Toh! è tornato Enrico Toti! (Lo guarda) Romano, t’ho mai raccontato di quella volta…

Romano -            (Lo interrompe) Sì, nonno.

Giuseppe -           Sei sicuro?

Romano -            Sicurissimo!

Giuseppe -           (Uscendo verso le camere) Come non detto. Allora vado in ritirata perché quella passeggiata fino al Porto m’ha smosso tutto l’intestino.

Ada -                   (Entra dalla cucina) Oh sei tornato, Romano? Aspetta che vado a prendere l’aceto. (Esce)

Vasinto -              (Rientra dalla cucina sempre con la scatoletta in mano e si siede al tavolo) Allora? hai rimediato qualcosa?

Romano -            Cosa vuoi che abbia rimediato? lei non c’era!

Vasinto -              (Sfottendolo) Lei non c’era… (Rimette a posto il ritratto di Mussolini) Ma senti che discorsi! Se non c’è lei ce ne sarà un’altra! Guardati intorno, scegli quella buona e va’ all’attacco! fregnone! (Rientra Ada con la bacinella e un asciugamano, va a chinarsi davanti a Romano, gli toglie scarpa e calzino e gli fa immergere il piede dolorante nella bacinella mentre Vasinto continua, con tono sconsolato) Niente, non c’è niente da fare! Ma vedrai come cambierai sotto il soldato! La vita militare forgia l’uomo! A proposito: quando parti, precisamente?

Romano -            Il dodici giugno.

Ada -                   (Apprensiva) Tra ventiquattro giorni.

Vasinto -              Bene, bene! sono contento!

Ada -                   (Massaggiando la caviglia di Romano) Io per niente.

Vasinto -              (Ad Ada) E smettila con ‘sti piagnistei! (Orgoglioso) Sai che stanno richiamando anche la mia classe e io non vedo l’ora di andare a portare il mio contributo?

Ada -                   (Ancor più preoccupata) Ah sì, ci mancherebbe solo questo! E qui chi porterebbe avanti la baracca?

Vasinto -              Va’ là che non rimarresti tanto tempo da sola perché questa sarà una “guerra lampo” (Ad alta voce) e vedrai che nel giro di pochi mesi sarà tutto finito con la vittoria!

Vittoria -              (Da fuori) Cosa c’è?

Vasinto -              (Ad alta voce) Non dicevo a te! (A Romano) e non fare quella faccia da beccamorto, anche te! sta’ allegro!

Ada -                   (Tra sé, uscendo verso la cucina) Eh sì, c’è proprio da stare allegri!

Vasinto -              (Indicando la scatoletta) Sai cosa c’è qui dentro?

Romano -            (Col tono di chi è stato già informato più volte) Sì, babbo, c’è l’orologio per il Duce!

Vasinto -              (Apre la scatola ed estrae la cassa dell’orologio) Vedi? questa è la cassa.

Romano -            (C.s.) Tutta in acciaio…

Vasinto -              … temprato! (Estrae un altro pezzo) Questo invece è il quadrante dove c’è già la finestrella per gli anni dell’era fascista, ma dovrò studiare bene per capire dove posso mettere questa rotellina in più e collegarla al congegno di distribuzione.

Romano -            È una complicazione.

Vasinto -              Sicuramente, ma ce la farò! (Studia i vari pezzi dell’orologio mentre Romano si asciuga il piede e si rimette calzino e scarpa) Poi mi metterò d’accordo col Gerarca Egisto Fornazzi, che conosco bene, che quando dovrà andare a Roma chiederà un’udienza anche par me. Pensa, Romano, che bella occasione!

Romano -            (Senza alcuna convinzione) Sì, bella, bella.

Ada -                   (Rientrando vede Romano di nuovo con la scarpa) Beh? Hai già tolto il piede dall’aceto?? Ma se lo tieni solo due minuti non fa effetto!

Romano -            Si era raffreddato.

Ada -                   Allora vai a sdraiarti sul letto con la gamba stesa, su. Come si dice: il braccio vuole il petto e la gamba vuole il letto.

Romano -            Ma mamma, mi sono svegliato da poco!

Ada -                   Mica devi dormire! Va’ di là, dai, leggerai qualcosa!

Vasinto -              Da’ retta a tua madre perché devi rinforzarti quella caviglia, se no come fai a fare le marce? (Romano esce verso le camere di malavoglia) (Ad Ada) Cosa fai, oggi, da mangiare?

Ada -                   Le seppie coi piselli.

Vasinto -              Buone! e manca ancora molto?

Ada -                   Vasinto… sono le dieci!

Vasinto -              (Richiude la scatoletta, se la mette in tasca e si alza) Allora vado a fare due passi fino in Piazza a vedere se c’è qualcuno.

Ada -                   (Ironica) Come, lasci incompiuto il regalo per il tuo amico?

Vasinto -              Mi prendi in giro? troppo c’è, ancora, prima di finirlo! (Esce)

Ada -                   Poveri noi! (Nota il ritratto di Mussolini e lo rigira verso il muro, poi si siede, avvilita. Vittoria entra dalla cucina) Vittoria, ma il nonno è ancora al gabinetto?

Vittoria -              No, è sul letto che parla con Romano.

Ada -                   Di cosa?

Vittoria -              Indovina.

Ada -                   Di Garibaldi!

Vittoria -              Esatto! (Pausa, quindi si rivolge alla madre con tono imbarazzato) Ma’…

Ada -                   Cosa c’è?

Vittoria -              Prima il babbo è tornato alla carica col discorso del matrimonio…

Ada -                   (S’irrigidisce) E te cosa gli hai detto?

Vittoria -              Eh, gli ho detto che ancora non ho trovato quello per me, che prima o poi lo troverò… cose così.

Ada -                   (Sospirando) Madonna santa ma come si deve fare? Non si può mica andare avanti così! (Perentoria) O ti decidi a smettere con quello oppure…

Vittoria -              Oppure…?

Ada -                   … oppure dovrò dirlo davvero a tuo padre, prima che lo venga a sapere da qualcun altro!

Vittoria -              Ma se viene a saperlo m’ammazza!

Ada -                   Guarda che in quest’impiccio ti sei voluta mettere te! E mi pare che tu non abbia nemmeno intenzione di smettere! (Pausa, guarda la figlia) Ma come si fa?? Come si fa? Come t’è venuto in mente di metterti con uno sposato?? Con uno come quello, poi!!

 

(Entra Giuseppe e le due donne si mettono a parlare sottovoce. Giuseppe va a sedersi vicino alla finestra ma incuriosito dal loro bisbiglio cerca di carpire qualcosa)

 

Vittoria -              (Sottovoce) Cosa ci posso fare, ma’…? (Giuseppe, dalla sedia vicino alla finestra, si inclina verso le due donne)

Ada -                   (Sottovoce) Cosa ci puoi fare?? Tronchi tutto e buonanotte ai suonatori!

Vittoria -              (Sottovoce) Non è così facile… (Giuseppe, continua ad inclinarsi verso le due donne)

Ada -                   (Si accorge dei movimenti di Giuseppe) Babbo, vi scappa qualcosa?

Giuseppe -           (Risiedendosi in posizione eretta) No, perché?

Ada -                   M’era sembrato.

Giuseppe -           No, no, mi sono liberato poco fa.

Ada -                   (A Vittoria, prosegue sottovoce) Non è facile perché ti sei intestardida con questo qui e ti sei voluta convincere che gli vuoi bene, ma in verità è solamente un’infatuazione, la tua! Quello t’ha imbambolata col suo modo di fare, con la sua posizione… e adesso non hai più ritegno! Madonna santa!... E mi raccomando: non guardare fuori dalla finestra ogni cinque minuti per vedere se passa, perché qualcuno si potrebbe insospettire.

Vittoria -              (Impensierita) Perché, si capisce che…?

Ada -                   Si capisce sì!

Vittoria -              (Imbarazzata) Va bene.

Ada -                   Finché lo fa Romano… (Supplichevole) Vittoria: prova a trovare un bravo ragazzo, lavoratore, che ti voglia bene e che non abbia altri impicci. Te lo chiedo per favore: fallo per tua madre e per tuo padre. (Con la coda dell’occhio nota il padre che cerca ancora di sentire il loro discorso, quindi ora alza la voce per far capire a Giuseppe che stanno parlando di argomenti normali) Sposati, figlia mia, e metti su una bella famiglia! (Torna per un momento a parlare sottovoce) Insomma devi trovare una soluzione perché io non ce la faccio più a sopportare una cosa così.

Vittoria -              (Sottovoce e imbarazzata) Mi dispiace, mi dispiace tanto.

Giuseppe -           (Decide di intervenire nella conversazione di cui ha appena afferrato il senso) Si parla di matrimonio?

Ada -                   (Con un tono che vorrebbe essere naturale e scherzoso) Son cose di donne, babbo. (Misteriosa) Chissà…

Giuseppe -           Ti dirò che mi piacerebbe diventare bisnonno! Pensa che ci sarebbero tre generazioni a confronto! e immagina i racconti che potrei fare a quel bambino!

Ada -                   (Benevolmente ironica) Eh, potreste raccontargli di Garibaldi. (Vittoria approfitta per alzarsi ed uscire verso la cucina)

Giuseppe -           Certamente! anche di quella volta che tuo nonno l’ha incontrato a Mercatello.

Ada -                   (Lo interrompe per cambiar discorso) Oggi non m’avete ancora chiesto cosa ho fatto da mangiare.

Giuseppe -           È vero! Ada, cos’hai fatto da mangiare?

Ada -                   Ecco, allora: oggi si mangia le seppie coi piselli, vi piacciono, no?

Giuseppe -           Osteria! sai chi è che andava matto per le seppie coi piselli?

Ada -                   Non mi dite che era Garibaldi!!

Giuseppe -           No, era tuo nonno! Ah! mio padre ne faceva fuori i tegami, di seppie coi piselli! mio padre!... Te non hai conosciuto, il nonno.

Ada -                   No.

Giuseppe -           È vero, perché è morto nell’ottantadue, lo stesso anno che è morto Garibaldi!

Ada -                   Già.

Giuseppe -           … te, invece, sei nata nel novantanove…

Ada -                   Sì.

Giuseppe -           … e la Vittoria quand’è nata?

Ada -                   Nel diciannove.

Giuseppe -           È vero, è vero, perciò adesso ha ventun anni…

Ada -                   (Guarda il padre non capendo dove vuole arrivare) Eh, ventun anni.

Giuseppe -           … e lui…?

Ada -                   Lui chi?

Giuseppe -           Quello di cui stavi parlando con tua figlia.

Ada -                   Ma non stavamo parlando di nessuno.

Giuseppe -           Ada, avrò anche settant’anni e passa ma non sono mica rincoglionito del tutto! Che impiccio c’è, sotto?

Ada -                   Madonna mia, babbo! son cose che ancora non vi posso dire perché… insomma sono faccende di cuore!

Giuseppe -           Ma è una faccenda che si può risolvere?

Ada -                   Certo che si può risolvere! Dipende solamente da lei.

Giuseppe -           Ricordi quanto hai sospirato, te, per Vasinto? Eh! eri arrivata a non mangiare più nemmeno quel poco che avevamo!

Ada -                   Già, che scema sono stata.

Giuseppe -           (Pur avendo capito cosa intende dire Ada) È vero, non si deve mai saltare i pasti.

Ada -                   Ma io non parlavo delle mangiate.

Giuseppe -           (Troncando il discorso) Mah, comunque vedrai che alla fine andrà tutto bene.

Ada -                   (Alzandosi) Speriamo…

Giuseppe -           (Alzandosi, prende un fazzoletto dalla tasca e si soffia il naso) Accidenti! Mi sa che al porto mi son preso un’infreddata!

Ada -                   All’età vostra dovete stare attento, babbo! non siete più un giovanotto. Dopo pranzo vi preparo dei suffumigi col bicarbonato, un po’ di cannella e qualche chiodo di garofano. (Entra Vittoria dalla cucina e riprende la sua rivista femminile) Andate a sdraiarvi un po’ prima di venire a mangiare. (Esce verso la cucina)

Giuseppe -           Sì, hai ragione, solo per far riposare un po’ le gambe. (Esce verso le camere)

 

Vittoria va ad accendere la radio che sta trasmettendo una canzonetta (“Vivere” – di C. Bixio - 1937) e torna a sfogliare la rivista. Poco dopo entra Romano, di soppiatto, sempre zoppicando un po’.

 

Romano -            Abbassa quella radio che il nonno s’è messo a dormire. (Vittoria la spegne) La mamma dov’è? (Si guarda attorno con circospezione)

Vittoria -              Sarà in cucina.

Romano -            È che mi sono stufato di stare a letto.

Vittoria -              (Sorridendo) Potevi scrivere la poesia per la Salvia.

Romano -            Eh sì… non son mica cose che si possono scrivere così, in quattro e quattr’otto sdraiati sul letto!

Vittoria -              È vero. (Sfottendolo) Se vuoi posso aiutarti io a trovare l’ispirazione: per esempio potresti cominciare così: “Salvia, rimembri ancora…” (Ride)

Romano -            E smettila di prendermi in giro!

Vittoria -              (Continua) “… quel tempo che appoggiata alla finestra…” (Ride)

Romano -            (Contrariato e allusivo) Fa’ poco la spiritosa, te, va’ là!

Ada -                   Eh, come sei permaloso!

Romano -            (Reagisce) E a te, a proposito, come ti va…?

Vittoria -              (Perplessa) Cosa?

Romano -            Come cosa? (Allusivo e imbarazzato) Eh, dai… l’intrigo con quello là!

Vittoria -              (Improvvisamente seria e allarmata) E te che ne sai??

Romano -            Eh, vuoi che certe cose non si vengano a sapere?

Vittoria -              (C.s.) Ma da chi l’hai saputo??

Romano -            Da un mio amico che abita da quelle parti… dove vai te quando esci dalla sartoria.

Vittoria -              (Coprendosi il viso con le mani) Madonna mia che vergogna!

Romano -            Beh, una cosa tanto pulita non è.

Vittoria -              (Preoccupata) E pensi che lo sappia molta gente?

Romano -            Molta no ma…

Vittoria -              (C.s.) Perché… potrebbe venire a saperlo anche il babbo!

Romano -            Ah, speriamo di no, perché non so come la prenderebbe.

Vittoria -              (C.s.) Oh, Signore! Comunque, credimi, Romano, la mia non è una semplice sbandata: ogni volta che lo vedo mi tremano le gambe! e anche se so che è una cosa sbagliata, che non si deve fare, non posso fare a meno di pensare a lui! Mi puoi capire, almeno te?

Romano -            Io posso capire la tremarella alle gambe e il fatto che lo pensi, ma non capisco perché proprio per uno sposato!

Vittoria -              Perché è capitato così! come faccio a dir di no al cuore?

Romano -            Cosa vuoi che ti dica… non lo so, so solo che è una faccenda che può creare un sacco di altri impicci oltre al fatto che a me non da piacere per niente, di fronte agli amici miei che sanno tutto. T’immagini come mi sento?

Vittoria -              (Imbarazzata) Eh, me lo immagino sì, ma credi che io stia bene così? essere anche in pensiero perché sarà richiamato sotto le armi!?

Romano -            Ah, non dirmi niente…

Vittoria -              Sì, lo so, scusa… sono molto in pensiero anche per te, Romano.

Romano -            Meno male.

Vittoria -              E sono in pensiero anche per il babbo che lo possano richiamare, e per la mamma che deve sopportare tutto quanto.

Romano -            Già, insomma stai in pensiero per tutti, ma io non posso fare a meno di partire, te invece…

Vittoria -              (Scatta) Ah, ma allora non mi capisci!

Romano -            (Si alza e va a sbirciare alla finestra) Sì, sì, ti capisco, ti capisco, ma non posso nemmeno dire che questa storia mi piaccia.

Giuseppe -           (Entra dalle camere stirandosi) Ma guarda te che mi sono addormentato come una pera cotta!

Romano -            Si vede che non avevate finito il sonno.

Giuseppe -           Eh già, però mi son bastati quei cinque minuti e adesso sto meglio; perché i vecchi tornano come i bambini che sono appena arrivati e non si sono ancora impratichiti con i ritmi di questa vita, noi invece ce ne cominciamo ad allontanare perché dobbiamo abituarci all’altra.

Vittoria -              Nonno! mo che razza di discorsi fate?

Giuseppe -           Sono discorsi dei vecchi, Vittoria, perché ogni età ha i suoi pensieri. Lo imparerete anche voi; ma non è che i pensieri dei vecchi siano più importanti di quelli dei bambini o dei ragazzi, no, sono solamente diversi. (A Vittoria, buttandola lì)… Te, per esempio, che pensieri hai?

Vittoria -              (Di getto) Nessuno.

Giuseppe -           (Squadrandola) Allora va bene, sono contento per te. (A Romano) I tuoi pensieri invece li conosco bene perché li ho avuti tutti e due: l’amore e la guerra! L’amore ti fa battere il cuore e la guerra… (Prende la “Domenica del Corriere” lasciata sul tavolo da Vasinto e si avvia)

Romano -            … e la guerra?

Giuseppe -           Niente, finisce così. (Esce)

Romano -            Vado di sotto a vedere se la incontro. (Esce zoppicando e incrocia Vasinto che rientra)

Vasinto -              (A Vittoria) Dove va?

Vittoria -              (Uscendo verso la cucina) Problemi di cuore…

Vasinto -              Almeno lui. (Non trova “La Domenica del Corriere” lasciata sul tavolo) Chi ha preso il giornale?

Giuseppe -           (Entra col giornale che si mette a sfogliare) Gli stavo dando un’occhiata io.

Vasinto -              Bravo, istruitevi! (Estrae la scatoletta dalla tasca, prende alcuni pezzi dell’orologio e si mette al tavolo per studiare il da farsi. Ad alta voce) Non si mangia in questa casa?

Ada -                   (Da fuori) Hai voglia di discorrere?

Giuseppe -           (Ironicamente, sempre sfogliando il giornale) È pronto il rancio?

Vasinto -              (A Giuseppe) Che or’è?

Giuseppe -           Ah! se non lo sai te che maneggi tutto il giorno con gli orologi…!

Vasinto -              Ma questo è ancora tutto a pezzi! Vedrete quando sarà finito che ticchettio perfetto che avrà! non sgarrerà un secondo!

Giuseppe -           (Chiudendo il giornale) A proposito: ti volevo parlare della Vittoria.

Vasinto -              Non preoccupatevi che ci sarà e arriverà presto!

Giuseppe -           Non di quella vittoria lì! volevo parlare di tua figlia!

Vasinto -              Ah, cos’è successo?

Giuseppe -           Cos’è successo non lo so ma c’è qualcosa che non riesco a capire.

Vasinto -              E di cosa si tratta?

Giuseppe -           Non lo so ma da un discorso che ha fatto con la madre ho mezzo capito che si tratta di sposarsi… di metter su famiglia…

Vasinto -              E volete che non lo sappia?? Le faccio tutti i giorni il discorsino che fra un po’ rimarrà zitella!

Giuseppe -           Sì, lo so ma c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Prova a parlarle in un’altra maniera, magari parla anche con tua moglie in modo da tirarle fuori qualcos’altro.

Vasinto -              Io, Giuseppe, non sono per i sotterfugi, perciò glielo domanderò chiaro e tondo e, come dice il Duce…

Giuseppe -           (Sfiduciato) Cosa dice il Duce?

Vasinto -              Il Duce dice: “Le cose bisogna farle alla luce del sole!”

Giuseppe -           (Ironico) Ecco, allora te, dai sempre retta a lui.

Vasinto -              Certamente!

Ada -                   (Entrando) A chi deve dar retta?

Vasinto -              Senti un po’, Ada, tuo padre, qui, mi dice che te e Vittoria mi state nascondendo qualcosa, è vero?

Ada -                   (Colta alla sprovvista s’irrigidisce) Cosa ti dovremmo nascondere?

Vasinto -              Dovrai dirmelo te! Ho saputo che parlavate di matrimonio, di metter su famiglia… cosa c’è, qualcosa in vista?

Ada -                   Ma no, si facevano i soliti discorsi che le fai sempre anche te, tutto qui.

Vasinto -              (Guardando Giuseppe) Mh.

Ada -                   (Svignandosela) Sbrigati con quell’orologio che fra poco è pronto da mangiare. (Esce verso la cucina)

Giuseppe -           (Ironico) Bravo! Tutto alla luce del sole!

Vasinto -              Certamente!

Giuseppe -           Viva la faccia tua, Vasinto! mangi, bevi…

Vasinto -              (Guardando Giuseppe)… e poi?

Giuseppe -           Niente, anche questa finisce così. (Rientra Romano, mestamente)

Vasinto -              (Rimettendo a posto i pezzi dell’orologio) Dai, Romano, che andiamo a mangiare!

Romano -            (Uscendo verso le camere) Non ho fame per niente.

Giuseppe -           (A Vasinto) Problemi di cuore…

Vasinto -              Già. (Avviandosi verso la cucina) Oh, a proposito, ho trovato il nome per l’orologio!

Giuseppe -           (Seguendolo) Ah, ecco. E come hai pensato di chiamarlo?

Vasinto -              Lancetta nera! (Esce)

Giuseppe -           Bella porcheria! (Esce)

 

(Buio sulle note di: “Signora illusione” di Cherubini-Fragna – 1940 - ).

 

Sipario

 

Fine del primo atto

 

 Secondo atto

 

 La scena è la stessa del primo atto tranne per il calendario alla parete che segna il 10 giugno 1940. A sipario ancora chiuso si sentono le note di una canzone (“La mia canzone al vento” di Bixio-Cherubini – 1939 -). All’aprirsi del sipario si avverte che la musica proviene dalla radio accesa mentre Vittoria è alla finestra, scrutando la strada. Quando, poco dopo, entra Romano, Vittoria se ne allontana subito.

 

Romano -            (Andando a spegnere la radio) Hai fatto mezza festa anche te?

Vittoria -              Sì, la signora ha voluto tenere aperta la sartoria solo la mattina perché ha detto che questa è una giornata speciale e dobbiamo andare tutti a sentire il discorso del Duce.

Romano -            Un’altra fissata.

Vittoria -              (Con la coda di paglia) Perché? a chi altri ti riferisci?

Romano -            Sai bene a chi mi riferisco, parlo di tutta quella gente che probabilmente nasce così.

Vittoria -              In che senso?

Romano -            Nel senso che certe persone hanno bisogno, oppure gli fa comodo avere un padrone, uno che gli dica cosa fare e come farlo senza tante discussioni, e obbedirlo in tutto quel che dice e quel che fa anche se fa delle grosse stronzate.

Vittoria -              Non è vero niente, perché se un uomo è capace di far risorgere un popolo dobbiamo solo ringraziarlo!

Romano -            (Ironico) Vedo che il tuo amico t’ha istruita bene.

Vittoria -              Poi anche te l’obbedisci andando in guerra.

Romano -            (Risentito) Ma che ragionamenti fai? Se adesso vado in guerra è perché la frittata ormai è fatta e se non ci vado divento un disertore e m’ammazzano subito! E tutto per colpa di quella gente che conosci bene anche te! (Pausa) Tronchiamo ‘sto discorso ch’è meglio.

Vittoria -              Sì, è meglio.

Romano -            Perché so che continui ancora… ma hai visto che la mamma non ne può più, di questa tua situazione?

Vittoria -              (Imbarazzata) Sì, ho visto.

Romano -            E ha capito anche lei che fuori comincia a saperlo parecchia gente.

Vittoria -              Lo so ma non è una cosa che si può risolvere da oggi a domani.

Romano -            Da oggi a domani no ma da un anno all’altro qualcosa si potrebbe risolvere.

Vittoria -              Quello che mi fa star più male è sapere che devi partire col magone per colpa mia.

Romano -            Te non devi preoccuparti per me, l’importante è che la mamma stia serena e che non soffra.

Vittoria -              Io cercherò di fare il possibile ma anche te, non farla stare in pena, falle sapere tutto quello che fai.

Romano -            (Allusivo) Sì, sì, anch’io farò il possibile.

Vittoria -              (Gli si getta tra le braccia quasi piangendo) Ti voglio bene, fratellino mio.

Romano -            (Sorpreso) Oh, cosa ti prende, adesso?

Vittoria -              Niente. E te mi vuoi bene?

Romano -            Che discorsi sono? certo che ti voglio bene anch’io.

Vittoria -              Io avrei voluto essere come te, Romano, perché sei un bravo ragazzo: studioso, giudizioso… ma io non ho la tua intelligenza.

Romano -            Ma che intelligenza! non è un fatto di intelligenza. (Volendo alleggerire la situazione) Se fossi intelligente a quest’ora avrei già risolto… con la Salvia.

Vittoria -              (Riprendendosi) A proposito: hai visto che in sartoria ho saputo qualcosa? Te avevi paura che non ti vedesse nemmeno e invece Marisa m’ha detto che lei sapeva del tuo interesse…

Romano -            … anche se lei non s’è sbilanciata più di tanto per farmelo capire. (Riluttante nel raccontarle il fatto) Ad ogni modo qualche giorno dopo l’ho incontrata dal tabaccaio che comprava le sigarette per suo padre…

Vittoria -              Questo non me l’avevi detto! allora…?

Romano -            Allora io le ho fatto un mezzo sorriso e lei m’ha risposto con un mezzo sorriso.

Vittoria -              Insomma in due avete fatto un sorriso intero.

Romano -            Poi l’altro ieri l’ho vista ai giardini…

Vittoria -              … per caso.

Romano -            Quasi. Io l’ho fermata…

Vittoria -              Oh!! finalmente!

Romano -            Sì… e abbiamo scambiato due parole facendo insieme la strada fino a casa dove le ho detto che la vedo sempre dalla finestra e lei m’ha risposto che se n’era accorta.

Vittoria -              Io cosa t’avevo detto…?

Romano -            Aspetta che non è finita: poi ieri l’ho vista sotto casa…

Vittoria -              … sempre quasi per caso.

Romano -            Sì, e abbiamo parlato un altro po’, però non le ho detto della poesia che ho scritto per lei.

Vittoria -              Ah, l’hai scritta, poi?? e non mi dici niente? Fammela leggere, dai!

Romano -            (Ritroso) Adesso? no, lascia perdere, dai.

Vittoria -              Perché? ti vergogni?

Romano -            (Estrae il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e apre un foglio scritto a mano che porge alla sorella) Però leggila te.

Vitoria -               No, no, devi leggerla te.

Romano -            (Riprende il foglio e legge la poesia) “Salvia! (Si ferma e guarda Vittoria)

Vittoria -              Va’ avanti che non mi metto a ridere.

Romano -            (Riprende) “Salvia! Odoroso nome come colei che lo porta! / Te mi piaci un sacco.

Vittoria -              … e una sporta!

Romano -            (Contrariato) Mi piaci un sacco, punto!

Vittoria -              Scusa.

Romano -            (Riprende) “Oh, come vorrei sentire il tuo profumo inebriandomi di te. /Mi basta un tuo cenno, un tuo sorriso/ e io mi sentirò…

Vittoria -              … in paradiso!

Romano -            Sì.

Vittoria -              È finita?

Romano -            Sì.

Vittoria -              È bella. è concisa ma scritta col cuore!

Romano -            (Ripiega il foglio e lo rimette nel portafoglio) Certamente.

Ada -                   (Entra dalla cucina e passa davanti al mobile dove gira il ritratto di Mussolini contro il muro) Romano…

Romano -            Ma’…

Ada -                   A che ora partirai, dopodomani?

Romano -            Il treno parte alle sette di mattina.

Ada -                   Ho cominciato a prepararti qualcosa da portar via.

Romano -            Cosa devo portar via?

Ada -                   Beh, qualcosa di ricambio…

Romano -            Ma mi daranno tutto loro, mamma! Non devi preoccuparti per questo.

Ada -                   Infatti questo è l’ultimo dei miei pensieri, tesorino della mamma tua. (Va ad accarezzarlo)

Romano -            (Volendole fare coraggio) Su, ma’…

Ada -                   Si vede che non m’è bastato vedere un fratello partire per la guerra, nel quindici, adesso mi tocca anche con un figlio!

Romano -            (Reagendo alle pessimistiche visioni della madre) Ma lo zio Arturo non è tornato, dalla guerra!! io invece non voglio mica morire! Voglio tornare a casa presto e con le mie gambe!

Ada -                   (Continua ad accarezzarlo) E io pregherò per te tutti i giorni! Ma non devi metterti nei pericoli, hai capito? (Estrae un santino dalla tasca e lo consegna a Romano mentre entra Giuseppe che va a sedersi in un angolo della stanza) Ecco: questo devi tenerlo sempre con te, sempre vicino al cuore e vedrai che ti proteggerà di sicuro. (Si asciuga gli occhi lucidi con un fazzoletto)

Vittoria -              (A Romano) Fammelo vedere.

Ada -                   (A Vittoria, sottovoce) Per te altroché il santino, ci vorrebbe, te dovresti portarti dietro tutti e quattro i vangeli! (Vittoria restituisce il santino a Romano ed esce, indispettita, verso la cucina) Mi raccomando, Romano: scrivimi tutti i giorni.

Romano -            Sì, ma te, mamma, non devi piangere.

Ada -                   (Togliendo velocemente una lacrima col dorso della mano e restando vicino al figlio) No, no, non piango, non piango, è che mi fa rabbia, mi fa una gran rabbia!

Giuseppe -           Allora, Romano?

Romano -            Allora, nonno?

Giuseppe -           Ci risiamo un’altra volta…

 

(Ada resta vicino al figlio a sentire quel che gli dice Giuseppe)

 

Romano -            Pare di sì.

Giuseppe -           Si vede che vent’anni senza far la guerra gli sembravano troppi e non potevano fare a meno di ricominciare.

Romano -            Già, così hanno preso anche me.

Giuseppe -           Prendila con calma, Romano, perché non sarà una cosa facile e sbrigativa come dicono. Mantieni sempre il sangue freddo e adopera il giudizi. Trovati degli amici in gamba che ti possano aiutare se dovessi trovarti in difficoltà e aiutali te dovessero trovarsi loro, in difficoltà. Insomma: calma e gesso, hai capito?

Romano -            Sì, nonno. (Dà un occhiata fuori dalla finestra)

Giuseppe -           (Ad Ada) Vasinto…?

Ada -                   Vasinto starà per arrivare.

Romano -            È qui di sotto, va’.

Giuseppe -           Stamattina l’ho visto tutto euforico per il discorso che il Duce terrà stasera.

Ada -                   C’è proprio da essere euforici… andare a sentire uno che vuol fare la guerra!

Vasinto -              (Entra, ha in tasca la scatoletta con l’orologio e un giornale sottobraccio) Allora è arrivato il gran giorno! (A Romano che sta ancora guardando dalla finestra) Oggi, Romano, avrai la benedizione del Duce così dopodomani potrai partire tranquillo, corazzato e impavido! (Nota il ritratto di Mussolini girato verso il muro e lo rimette a posto)

Ada -                   (Tra sé, sconcertata) Ma senti cosa si deve sentire!

Giuseppe -           (Con ironia, uscendo) Certo, con la sua benedizione di cosa avrà paura?

Vasinto -              (Legge la prima pagina del giornale) Senti qui: “10 Giugno 1940: La corsa del popolo è stata degna dei premi del Duce. Il coscritto Fausto Coppi è il vincitore del 28° Giro d’Italia… che, nel doppio segno della giovinezza e della tradizione, ha recato alle folle sportive d’Italia la testimonianza della gagliardia e della serenità della Patria in armi”… e oggi, alle sei precise, tutti in Piazza dove hanno messo gli altoparlanti e sarà come partecipare di persona a questo storico evento. È vero, Romano?

Romano -            (Sorride verso la finestra di Salvia accennando un saluto con la mano) Sì babbo, sarà un evento storico. Faccio un salto di sotto. (Esce)

Vasinto -              (Ad Ada) Te sai perché tuo figlio si comporta così? senza l’entusiasmo e l’ottimismo necessari per affrontare i destini della Patria?

Ada -                   Perché? sentiamo…

Vasinto -              Perché sei te che gli metti addosso l’ansia e il pessimismo! Con quel tuo modo di fare da madonna pentita!

Ada -                   (Offesa e risentita) Ah, ecco, allora la colpa di tutto ‘sto macello sarebbe mia! perché invece tutte le madri italiane dovrebbero fare i salti dalla contentezza per via che i propri figli devono andare a fare la guerra! Vasinto… ma cosa avete in quella testaccia, te e tutti gli amici tuoi??

Vasinto -              Io, Ada, non ti rispondo nemmeno! (Estrae la scatoletta dalla tasca e prende l’orologio) e questo tuo atteggiamento mi fa vergognare come marito e come italiano!

Ada -                   Ecco, (Indicando l’orologio) allora continua a fargli anche il regalino, al tuo amico!

Vasinto -              (Con orgoglio) Certamente! infatti l’ho quasi finito! Mi son già messo d’accordo col Gerarca Fornazzi per andare direttamente a Roma con lui e consegnarglielo personalmente.

Ada -                   Mh, a proposito, ti devo parlare.

Vasinto -              (Mentre controlla l’orologio con atteggiamento professionale) È una cosa lunga?

Ada -                   Dipende. (Prendendo fiato)… È arrivata l’ora che te, Vasinto, sappia della situazione della Vittoria.

Vasinto -              Ma porca miseria!! ancora con questa manfrina della Vittoria? Ada, il discorso è semplice: è ora che si sposi! ecco fatto!

Ada -                   (In evidente difficoltà) Lei, Vasinto, vorrebbe sposarsi ma non può.

Vasinto -              Come sarebbe a dire che non può, cos’è, impedita?

Ada -                   Non è impedita, il fatto è che tua figlia… si vede con uno.

Vasinto -              Oh, è già qualcosa! e chi è?

Ada -                   (C.s.) È uno… che non può sposarla.

Vasinto -              Ada, smettila di fare i giochetti! Lei non si può sposare, lui non si può sposare… cosa mi stai raccontando??

Ada -                   (Butta fuori il rospo ma sottovoce) Sto cercando di dirti che Vittoria si vede da un anno con un uomo sposato!

Vasinto -              (Riponendo l’orologio nella scatoletta) Cosa?? Cosa mi stai dicendo, Ada??

Ada -                   (Spaventata per la sua reazione) È quello che t’ho detto.

Vasinto -              La Vittoria sta con uno… da un anno!!? (Si precipita ad affacciarsi alla porta della cucina)

Ada -                   (Concitata) Vasinto, per carità!!

Vasinto -              Vittoria! Vittoria!!

Giuseppe -           (Si affaccia dalle camere) Ancora deve dichiarare la guerra e già abbiamo vinto?? Accidenti che guerra-lampo!

Vasinto -              (A Giuseppe, gridando) Voi, per piacere, tornate in camera vostra!

Giuseppe -           (Uscendo) Scusate tanto.

Vittoria -              (Entra dalla cucina) Cosa c’è?

Ada -                   (Prontamente, per mettere in guardia la figlia) Gliel’ho detto. (Vittoria s’irrigidisce)

Vasinto -              (Minaccioso) Raccontami un po’ questa storia; voglio sentirla da te, dalla tua bocca, prima che te non abbia più i denti per rispondere. (Guarda Vittoria che tace) Hai una tresca con un uomo sposato?

Vittoria -              (Ad occhi bassi) Ci frequentiamo.

Vasinto -              Da un anno?!

Vittoria -              (C.s.) Sì, ma lui mi vuole bene.

Vasinto -              Ti vuole bene?? Quello non deve voler bene a te ma a sua moglie e ai suoi figli! Brutta…

Ada -                   (Lo interrompe) Vasinto!!

Vasinto -              (Sarcastico) Hai capito, la santarellina che non sapeva decidersi tra i pretendenti? che avevo paura che restasse zitella! (Ad Ada) E te l’hai sempre saputo! Magari lo sa anche tutta la città e io sono l’unico imbecille che non sapeva niente!

Ada -                   Mi raccomando in ginocchio, Vasinto, che almeno mio padre non venga a sapere niente di questa faccenda!

Vasinto -              (Prosegue) Allora, io ti do una possibilità: domani vai da quello là, tronchi questa storia e mi vieni subito a dire ch’è tutto finito, se no ci andiamo insieme, io e te, e prima spacco la faccia a lui e poi a te. Adesso decidi cosa fare, va bene?

Vittoria -              (A testa bassa)… Sì.

Vasinto -              A proposito: chi è questo qui? (Ada e Vittoria si scambiano uno sguardo) Allora? Lo conosco?

Ada -                   Sì, lo conosci bene.

Vasinto -              E chi sarebbe?

Vittoria -              (A testa bassa)… Egisto.

Vasinto -              Che Egisto?

Ada -                   Quanti Egisto conosci? è il tuo grande amico Egisto Fornazzi.

Vasinto -              Chi??

Ada -                   Hai capito bene, è proprio lui: il Gerarca Egisto Fornazzi.

 

(Vittoria è ora pronta a qualsiasi reazione del padre)

 

Vasinto -              (Guarda le due donne) E perché io non ho saputo mai niente? (Pausa, ad Ada, con tono più incerto) Me lo potevi anche dire, ma del resto te hai sempre avuto paura perfino dell’ombra tua! (Guarda le due donne) Perché non dirmelo? non avete mica ammazzato nessuno!

Ada -                   Ci mancherebbe altro!

Vasinto -              Appunto! non sai che delle volte è la natura stessa a farci comportare in una maniera piuttosto che in un’altra? (Ada lo guarda incredula) È normale.

Ada -                   Cos’è normale?

Vasinto -              (Continuando il suo ragionamento, tra sé) Fornazzi… (Ad Ada) Quanti anni avrà, Egisto? Trentadue, trentatré anni…

Vittoria -              (Timidamente) Trentaquattro.

Vasinto -              Ecco, è ancora giovane, Egisto. Eh! Cara Vittoria… devi ancora capire che nel mondo ci sono uomini che hanno un qualcosa che, in effetti, può affascinare una ragazza.

Ada -                   (Sconcertata) Oh, Signore!

Vasinto -              Sì, è una questione di fascino, e poi, a pensarci bene… eh, Ada?

Ada -                   Cosa?

Vasinto -              Voglio dire che il mondo è cambiato, dai, non siamo più nell’Ottocento! e una situazione come questa, voglio dire, con un Gerarca…

Ada -                   Ma cosa stai dicendo? dove vuoi arrivare??

Vasinto -              Voglio dire che avere dei… rapporti più stretti con uno nella sua posizione… potrebbe tornare anche utile alla nostra famiglia, soprattutto adesso che Romano parte per fare il soldato. E poi, parliamoci chiaro, Ada, tanto ormai Vittoria è grande: anche il Duce… (Malizioso) sanno tutti che si dà da fare…!

Ada -                   (Scandalizzata, rivolta al marito) Avevo una mezza idea su di te, Vasinto, ma adesso son proprio convinta di che razzaccia di pasta sei fatto e mi vergogno per te! (Corre verso la cucina per non farsi vedere a piangere)

Vasinto -              (Le grida dietro) Te allora non hai capito niente della vita! di come va il mondo! sei buona solo a piangere tra i tuoi tegami! (A Vittoria, rincuorandola) Su, su, non fare quella faccia. Adesso ci parlerò anch’io, con Egisto. Va’ in cucina da tua madre, va’.

 

(Vittoria esce verso la cucina farfugliando un “grazie”. Vasinto, rimasto solo, si ferma un momento a pensare tra sé con un mezzo sorriso soddisfatto; quindi, si affaccia Giuseppe)

 

Giuseppe -           Posso entrare adesso?

Vasinto -              (Riapre la scatoletta e torna a lavorare sull’orologio) Perbacco, siete a casa vostra!

Giuseppe -           È successo qualcosa?

Vasinto -              No, no, niente di grave. (Con espressione complice) Anzi, scusatemi per prima ma delle volte bisogna alzare un po’ la voce, per farsi capire da queste donne quando ci sono dei fraintendimenti.

Giuseppe -           Ah, sì, sì… (Pausa, poi con ironia) Le donne sono superficiali, vero? sono solo buone a far da mangiare e a fare i figli.

Vasinto -              (Che non avverte l’ironia di Giuseppe)… e a piangere!

Giuseppe -           Già! loro vorrebbero solamente l’amore e la pace… la pace… oddìo! (Sorride amaramente) Vasinto!... ho parlato di pace! proprio oggi! Che stupido che sono! sono proprio “fuori moda”! eh, Vasinto? parlare di pace adesso che è tutto un darsi da fare, tutto un correre per arrivare e agguantare tutto prima degli altri, che si usa prendere le donne, le terre, i popoli, insomma la roba d’altri solo con la forza e con la violenza… Che peccato! siamo proprio alla fine! adesso comanda solo la guerra.

Vasinto -              (Intento a pulire l’orologio, sentenzia ottusamente) La parola alle armi!

Giuseppe -           È vero quello che m’ha detto mia figlia tempo fa: “La guerra è sempre la guerra, dicono che è necessaria, che la si fa per la pace, ma la gente muore e alla fine resta tutto come prima”.

Vasinto -              (C.s.) Siete vecchio, Giuseppe, una volta non ragionavate così.

Giuseppe -           Già, si vede che l’esperienza serve a qualcosa, a chi ha un po’ di cervello. Dicono: “Bisogna vedere come la si considera, la guerra, da che parte la si guarda”… ma adesso sono convinto che è come una merda che puoi incipriarla, profumarla, ma sempre merda rimane.

Vasinto -              (Sfottendolo) E il vostro Garibaldi? lui non faceva la stessa cosa?

Giuseppe -           Garibaldi? no, lui non faceva la stessa cosa, lui era un eroe d’un altro mondo.

 

(Rientra Romano dall’esterno)

 

Vasinto -              (Mostrandogli con orgoglio l’orologio ormai finito) Guarda, Romano! l’ho finito! gli manca solo la catena!

Giuseppe -           A proposito di catena… vado al cesso. (Esce verso le camere canticchiando fra sé) “Vento… vento… portalo via con teeee. Sono vent’anni che ci dà il tormento…”

Vasinto -              (Con fare complice, riponendo l’orologio nella scatoletta che rimette in tasca) Insomma, adesso hai anche una ragazza che ti scriverà quando sarai lontano.

Romano -            Spero di sì.

Vasinto -              (Alzandosi) Allora dopo andiamo insieme in Piazza a sentire il Duce.

Romano -            No, babbo, io lo sentirò per radio.

Vasinto -              Ma non è la stessa cosa! Vuoi mettere essere lì con tutta la città che lo starà a sentire?

Romano -            In caso aprirò la finestra, tanto gli altoparlanti si sentono anche da qui.

Vasinto -              (Complice) Io ti ho capito, sai? te vuoi starlo a sentire in dolce cumpagnia! Ti capisco, Romano, ti capisco! (Esce verso le camere)

 

Rimasto solo, Romano torna ad affacciarsi alla finestra da cui scorge Salvia

 

Romano -            (Sorridendole) Ciao… vai in Piazza anche te, dopo? (Ascolta) No, nemmeno io. Ci andrà mio padre, mia sorella andrà per i fatti suoi… rimarrà solo mia madre e mio nonno. Ah, prima di partire ti vorrei dare una cosa (Ascolta) No, adesso non ti dico cos’è ma spero che ti piaccia. (Ascolta) No, adesso non ti dico cos’è. (Ascolta) Eh? (Ascolta) Ah, va bene, se ti chiama tua madre vai pure. (Ascolta) No, adesso non te lo dico, in caso ci vediamo dopo e te lo dirò. (Ascolta) Ciao... (Pausa) Ciao… (Pausa) Ciao (Pausa) (Ada entra dalla cucina passando vicino al mobile per capovolgere il ritratto di Mussolini)) Allora... ciao. (Chiude la finestra)

Ada -                   Romano! cocco della mama tua, almeno te…!

Romano -            Almeno io, cosa?

Ada -                   (Accarezzandolo) Niente, niente, è che vorrei dirti tante cose, farti tante raccomandazioni che t’ho già fatto e che ti rifarei all’infinito, per non farti andar via e restare sempre qui con la tua mamma. (Lo abbraccia)

Romano -            Non fare così, dai, se no, io, come parto? eh? con che spirito mi fai andar via?

Ada -                   Hai ragione, hai ragione, piccolo mio. (Entra Vittoria) Adesso fai un piacere, alla mamma: stai un po’ di là col nonno, perché lui non lo dà a vedere ma è molto in pensiero per te.

Romano -            Va bene. (Esce verso le camere)

Vittoria -              (Dopo una pausa in cui cerca di evitare lo sguardo della madre) Scusa ma’.

Ada -                   Di cosa ti vuoi scusare? hai avuto anche il benestare di tuo padre! cosa vuoi di più? Si vede che ha ragione lui: il mondo è cambiato: adesso è tutto moderno e si può far tutto quello che si vuole, senza nessuna vergogna, si guarda solo al proprio tornaconto. Va’, va’ da lui, fregati di quello che dice la gente… o la tua coscienza, anzi, c’è il caso che ti diano anche ragione. Io non voglio sapere più niente. Io sono di un altro secolo. Sono vecchia. (Esce verso la cucina)

Vittoria -              (Si avvicina all’uscita verso le camere e chiama) Romano! Romano!

Romano -            (Si affaccia) Dimmi.

Vittoria -              Niente, io esco.

Romano -            Non te lo chiedo nemmeno, dove vai.

Vittoria -              Bravo, non chiedermelo più, tanto ormai è andata così. (Esce con visibile imbarazzo)

Romano -            (Tra sé, guardandola uscire) Già, ormai è andata così. (Esce verso le camere)

 

La scena resta vuota, si sentono le note lontane di una canzonetta (“La mia canzone al vento” di Bixio-Cherubini – 1939 -) Entra Ada e va a sedersi, stanca e pensierosa. Dopo qualche istante entra Giuseppe.

 

Giuseppe -           (Si siede vicino a lei mentre la musica sfuma) Dai, Ada, fatti coraggio che lo rivedrai, tuo figlio. Tornerà e lo vedrai più cresciuto e più uomo di adesso, e ti sentirai felice come quando da piccolo gli passava la febbre e tornava a giocare allegro e vispo come prima, ti ricordi?

Ada -                   (Cercando di farsi coraggio) Sì, babbo, lo vedremo sicuramente tornare.

Giuseppe -           Te hai fatto tutto quello che c’era da fare, adesso bisogna lasciar fare al destino e deciderà lui, per Romano e per Vittoria.

Ada -                   (Temendo che il padre abbia intuito circa Vittoria) Cosa vuoi dire?

Giuseppe -           Niente, voglio solo dire che devi stare tranquilla, figlia mia, e non sentirti in colpa di niente.

Vasinto -              (Entra) Dov’è la Vittoria?

Ada -                   (Si alza e torna in cucina) Non so proprio dov’è, la Vittoria.

Vasinto -              Sarà andata sicuramente in Piazza con… a proposito: che or’è? (Consulta l’orologio per Mussolini e lo ripone nella scatoletta che appoggia sopra un mobile) Perbacco! manca poco alle sei! (Chiama ad alta voce) Romano!

Romano -            (Entra) Cosa c’è?

Vasinto -              Manca poco alle sei! io vado in Piazza.

Giuseppe -           (Ironico) Vai alla “riunione oceanica”?

Vasinto -              Sì, Giuseppe. (A Romano) Allora te non vieni…

Romano -            No, te l’ho detto: si sente bene anche da qui.

Vasinto -              Fai come vuoi, ci vediamo dopo! (Esce)

Giuseppe -           Allora rimani qui?

Romano -            Sì, sì.

Giuseppe -           Bravo, in quelle riunioni oceaniche c’è un sacco di gente che s’affoga. Oh, mi raccomando, torna presto da ‘sto putiferio perché ti devo raccontare dell’incontro del tuo bisnonno col Generale Garibaldi… te l’ho mai raccontato?

Romano -            No… mai.

Giuseppe -           (Lo guarda sorridendo poi esce) Benissimo.

 

(Rimasto solo, Romano va ad aprire la finestra e vede Salvia che lo stava aspettando; mentre si sente il brusio della folla di Piazza Venezia, Romano la guarda, le sorride e la saluta con la mano; subito dopo, leggermente in lontananza, si sente la voce di Mussolini che proviene dagli altoparlanti della Piazza)

 

B.M. -                  (Mentre Romano saluta Salvia agitando la mano) Combattenti…

Romano -            Come va…?

B.M. -                  (Romano le sorride ascoltandola)… di terra, di mare e dell'aria.

Romano -            Eh, io non c’è male.

B.M. -                  Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.

Romano -            Oh, mi stai aspettando da molto??

B.M. -                  Uomini e donne d'Italia…

Romano -            Meno male.

B.M. -                  … dell'Impero e del Regno d'Albania…

Romano -            Stammi a sentire...

B.M. -                  … Ascoltate! (Acclamazioni)

Romano -            Visto che domani tra una cosa e l’altra sarà difficile che ci possiamo vedere perché devo fare dei giri per gli uffici prima di partire… ecco: allora ti volevo dire una cosa che per me è molto importante.

B.M. -                  (Romano ascolta Salvia) Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. (Acclamazioni)

Romano -            Sì, adesso ti spiego: Insomma è un po’ di tempo che te lo volevo dire; anche quando ci siamo visti dal tabaccaio… ti ricordi? Poi ai giardini quando t’ho accompagnata fino a casa. Ma poi sai, è difficile dirlo così, per la strada. sui due piedi, allora…

B.M. -                  L'ora delle decisioni irrevocabili. (Un urlo di acclamazione)

Romano -            Comunque adesso finalmente mi sono deciso perché penso che sia il momento giusto per dirtelo, anche se così: da una finestra all’altra.

B.M. -                  La dichiarazione di guerra…

Romano -            Ecco: (Romano, emozionato, prende fiato per dichiararsi)

B.M. -                  … è già stata consegnata agli ambasciatori… (Acclamazioni, grida altissime di: «Guerra! Guerra!»)

Romano -            Io, Salvia, ti voglio bene da un sacco di tempo e mi sono innamorato da subito del tuo sguardo, della tua dolcezza, del tuo modo di fare anche se non ho mai avuto il coraggio di dirtelo, un po’ per timidezza, un po’ perché sono imbranato; ma prima di partire per la guerra volevo sapere se anche te… insomma se anche te mi volevi un po’ di bene. Ecco: volevo dirti solo questo. (Romano ascolta Salvia)

B.M. -                  … agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. (Acclamazioni)

Romano -            … e se in caso provassi anche te quello che provo io per te, volevo sapere se mi puoi aspettare finché non torno. Perché io, Salvia, vorrei tornare presto, da questa guerra, per poter restare sempre insieme a te… per tutta la vita. Se anche te lo vuoi.

B.M. -                  Scendiamo in campo…

Romano -            No, no, dimmi pure…

B.M. -                  … contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente…

Romano -            Certo che ti sto a sentire, Salvia! Sono qui apposta!

B.M. -                  … che, in ogni tempo hanno ostacolato la marcia…

Romano -            (Sorridendo) E me lo dici così?? Accidenti a momenti mi prende un colpo!!

B.M. -                  … e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.

Giuseppe -           (Si affaccia alla porta) Con chi parli?

Romano -            (A Giuseppe) Niente, sto parlando con… la mia ragazza! (A Salvia, mentre Giuseppe scompare sorridendo) E mi prometti… mi prometti che mi scriverai anche te?

B.M. -                  La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. (Applausi)

Romano -            Certo che anche io ti scriverò! Ti scriverò tutti i giorni e dovunque sarò. E quando tornerò staremo sempre insieme.

B.M. -                  … che l'Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile…

Romano -            Sono contento!

B.M. -                  … per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa, ma tutto fu vano. . (Duce! Duce! Duce!...)

Romano -            … Salvia… Salvia, te non immagini nemmeno quanto sono felice in questo momento! Sono il più felice di questa terra! Allora stammi a sentire: se ci vediamo qui di sotto ti do quella cosa che ti dicevo prima… eh?

B.M. -                  Bastava rivedere in trattati…

Romano -            È una poesia che ho scritto per te.

B.M. -                  … per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni…

Romano -            Corri, dai!

B.M. -                  … e non considerarli intangibili per l'eternità…

 

Romano chiude la finestra - facendo pervenire ancora più attutite le parole di Mussolini - e si precipita fuori casa. Dopo qualche istante entra Ada; è afflitta, va alla finestra, la apre e guarda in strada facendo risentire chiaramente le parole della dichiarazione di guerra, quindi richiude la finestra e lentamente si dirige verso il mobile sul quale Vasinto ha lasciato la scatoletta con l’orologio, lo estrae, lo guarda e lo posa sul mobile, quindi prende un martello da un cassetto e inizia a colpire l’orologio con violenza, rabbia e disperazione distruggendolo completamente, mentre le parole della dichiarazione di guerra si fanno sempre più tenui fino al completo silenzio con il chiudersi del

 

Sipario

Agosto 2011

 

  

Arredi di scena

 

Primo atto

- Un calendario giornaliero con la data 19 maggio 1940

- Una radio d’epoca

- Un ritratto da tavolo con la foto di Benito Mussolini

- Un libro

- Quattro tazzine da caffè

- Una copia d’epoca della “Domenica del Corriere”

- Una scatola contenente:

un orologio completo

alcune parti singole di orologio

un monocolo ed eventualmente qualche altro attrezzo da orologiaio

- Una bacinella ed un asciugamano

- Un fazzoletto da naso

 

Secondo atto

- Un calendario giornaliero con la data 10 giugno 1940

- Un portafoglio contenente il foglio con la poesia

- Un santino

- Un secondo giornale dell’epoca

- Un martello

 

* In regia occorre la registrazione originale della dichiarazione di guerra del 10 Giugno 1940

 

 

Le canzoni

 

“Signora illusione” di Cherubini-Fragna - 1940

"Vivere” – di C. Bixio - 1937

"La mia canzone al vento” di Bixio-Cherubini – 1939 -





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